Discorso sulla felicità di uno che non ha capito niente.

“Stamattina comincia l’anno quattordicesimo del terzo millennio.
Ci troviamo tutti quanti su una palla azzurra che corre nell’universo. Praticamente qualcuno ha dato un “cavicio” a questa palla e noi che ci siamo attaccati sopra non sappiamo dove sta andando.
Diciamoci la verità: ci sentiamo un pó smarriti, come quando il tiro alla palla lo fa Inler da 40 metri e non sappiamo se la palla va in porta o finisce sui cartelli con la pubblicità di Tufano. Qualcuno tra di noi ostenta sicurezza e fa vedere che ha capito tutto (tipo i preveti, i filosofi e i mericani) salvo poi fare ogni tanto qualche “granta” figura di niente quando le loro teorie vengono smentite dai fatti.
Mó noi, comuni mortali che non arriviamo ai livelli scientifici di quelli che hanno “capito tutto” ( e che, secondo me, fanno finta di aver capito tutto per abbabbiarci a noi), che dobbiamo fare per goderci il viaggio sulla palla azzurra che corre nell’universo?
Innanzitutto, amici miei, io nunn’e stess a sentì proprio, o comunque non prenderei per oro colato tutto quello che dicono, come non sto a sentire quegli aucielli del malaugurio che scrivono sui giornali o escono nella televisione. Personalmente nella mia permanenza sulla palla azzurra, di giornalisti ne ho conosciuti tanti e vi dico, parafrasando una mia canzone , che molti di loro sono ‘a munnezz r’a gent!
Una volta ne conobbi uno a Napoli che aveva trovato la moglie a letto con un collega e lui, per tutta risposta, cominció a scrivere articoli velenosi in cui diceva che il mondo era una chiavica. Fermo restando che a nessuno di noi farebbe piacere trovare la propria donna a letto con un altro, capite il danno che possono fare certi scritti e certe affermazioni sulle anime deboli e credulone di chi legge? Le notizie rimbalzano, soprattutto oggi che esiste il web e lo sconforto del giornalista cornuto va a sconfortare alla fine tutti quanti noi che non ci azzecchiamo niente con i suoi problemi di corna. Dunque, noi a chi hamma sta a sentì in tutto questo casino? Secondo me, nunn’amma st a sentì a nisciuno. Solo a noi stessi dobbiamo sentire. Solo a noi stessi.
Da secoli i cantanti e i poeti vi dicono: “segui il tuo cuore”. Lo dice persino Giggi d’Alessio nelle sue canzoni cullato dal dubbio se “cuore” si scrive con la “e” o con la “o” finale. Ma in pratica, come si fa a a seguire il cuore (o il cuoro? Mi sorge un dubbio), se questo grande muscolo pompante che teniamo nella gabbia toracica è messo a tacere dai volumi alti dei televisori e dalle stronzate mediatiche che ci arrivano via web, radio, cartelli pubblicitari, giornali, libri e telefonino che squilla per informarci dell’ultima offerta di Fastweb?
Senza scomodare Giggi D’Alessio, ho fatto un piccolo esperimento e ho provato a sentire il mio cuoro (secondo me si dice così, visto che è singolare maschile). Me ne sono andato dentro una terra coltivata cachissi in piena notte, lontano da ogni rumore di traffico e di tv appicciate. Mentre che ero li a telefonino spento, sarà stato per il contatto con la natura o per l’addore di cachissi maturi, ho sentito il mio cuoro che diceva: “Guaglió, va tutto bene. Stai chino ‘e salute, le femmine non ti mancano, tieni un sacco di gente che ti vuole bene e se hai fame, attorno a te ci sono un sacco di cachissi a disposizione”.
Dopo questa “rivelazione”, sono tornato nella metropoli e ho cercato di dare conforto al prossimo scrivendo canzoni e ascoltando gli altri, ribaltando punto per punto le loro filosofie di vita che non consentivano di essere felici.
Ognuno di noi ha un sistema operativo nel cervello e questo sistema si chiama a seconda dei casi, Comunismo, Fascismo, Cattolicesimo, Islamismo, Buddismo ecc.
In base al sistema operativo che abbiamo adottato (o qualcuno ci ha fatto adottare) ci muoviamo e agiamo di conseguenza. Il risultato della nostra infelicità è che nessuno di questi sistemi operativi si è rivelato perfetto ed esente da bug. Troppa competizione, troppa violenza, troppa insicurezza, troppo odio, troppa gelosia, troppe idee preconfezionate partorite da filosofi sifilitici dell’ottocento o da qualche guru visionario che tremila anni fa si faceva le canne e poi dava le direttive a noi, uomini e donne del terzo millennio. Ecco quello che fotte i miei contemporanei. Vancell’a ffà capì…dobbiamo riformattare le nostre cervella, gettare le idee vecchie e al loro posto metterci quelle nuove fatte di sicurezza, fiducia nel prossimo e cooperazione.
Prima di lasciare la palla azzurra, mi piacerebbe assistere alla nascita dell’uomo 2.0.”

Tony Tammaro

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